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Il doping genetico

Fonte: SpazzioCiclismo

Il doping:
Tra le nuove frontiere del triste mondo del doping, un ruolo chiave è destinato a giocarlo il doping genetico (o doping genico).
Mentre le sostanze dopanti più tradizionali, quali Steroidi, Eritropoietina, Ormone della crescita etc. intervengono sul fisico come sostanze esogene, in grado di alterarne le prestazioni con determinate modifiche, il doping genetico offre la possibilità di alterare il patrimonio genetico di alcune cellule, così da indurle a modificare il loro comportamento e, conseguentemente, le caratteristiche dell’individuo.
Tale tipo di doping è una malsana derivazione della terapia genica, tecnica attualmente in uso per tentare di combattere alcune malattie con esiti spesso (ma non sempre) positivi.

E’ molto difficile capire quale sia la situazione attuale in termin idi doping genetico: non esistono infatti ancora casi accertati di utilizzo di questa procedura. E’ però anche opportuno sottolineare come i metodi di controllo anti-doping relativi stiano a loro volta muovendo i primi passi, pertanto non è da escludere che qualcuno abbia già fatto il furbo e sia riuscito a passarla liscia.

Approfondimento

Per capire il principio con cui si vorrebbe intervenire in termini di doping genetico, è necessario partire dalla terapia genica.
Con questo termine si fa riferimento ad una procedura terapeutica ancora molto “giovane”, che prevede l’introduzione di materiale genetico nelle cellule al fine di curare delle patologie.
Nel dettaglio la terapia genica è stata introdotta per la prima volta negli anni ’80 ed ha inizialmente riguardato quelle patologie derivanti da difetti a livello genetico (geni modificati e quindi mal funzionanti, oppure del tutto assenti).
In tali casi, la terapia genica prevede l’introduzione di uno o più geni sani nelle cellule malate, allo scopo di correggere il difetto riscontrato.
Va da sé che per attuare un simile intervento terapeutico è fondamentale identificare con certezza il gene responsabile della malattia.
Successivamente, le applicazioni della terapia genica si sono ampliate e sono stati tentati interventi anche allo scopo di modificare alcuni comportamenti cellulari, non per sostituire geni difettosi o mancanti, ma per innescare nel paziente un meccanismo utile ai fini terapeutici (per esempio, nel paziente che soffre di problemi cardiaci di tipo ischemico, può essere utile attivare tramite terapia genica un meccanismo che consenta la creazione di nuovi vasi sanguigni).

In entrambi i casi, si ha comunque a che fare con l’inserimento nelle cellule del paziente di materiale genetico, e questa operazione viene definita trasfezione. In genere la trasfezione viene svolta usando come veicoli dei virus precedentemente resi inattivi, anche se esistono altri sistemi, meno usati poichè troppo costosi o di difficile applicazione, come ad esempio l’asportazione delle cellule dal corpo e l’inserimento del gene “in vitro”, cioè esternamente al corpo del paziente. Tali cellule, una volta trattate e modificate geneticamente, vengono poi reinserite nell’individuo.

Quale che sia il sistema per introdurre le modifiche nel patrimonio genetico, va da sé che le applicazioni della terapia genica hanno presto attirato l’attenzione degli stregoni del doping.
Quale sistema migliore, per incrementare le prestazioni? Intervenire direttamente sul genoma dell’atleta, costringendo il suo corpo a produrre sostanze in grado di migliorarne la forza, la resistenza, di abbassare la soglia del dolore o la percezione della fatica!!! Ma i pericoli insiti nella terapia genica sono enormi, di molto superiori a quelli già gravi legati all’assunzione di sostanze dopanti tradizionali.
Un esempio di quanto la manipolazione genetica sia un campo ancora molto sperimentale e potenzialmente pericolosissimo lo si ritrova nel caso riportato su di un bambino americano, il quale soffriva di un gravissimo caso di immunodeficienza; dopo aver fatto ricorso alla terapia genica ed aver conseguito apparenti risultati positivi, al bambino in oggetto è stata riscontrata una forma di leucemia, forse riconducibile alle modifiche genetiche introdotte. Questo sospetto è giustificato dal fatto che per immettere il gene sano nelle cellule del paziente era stato utilizzato un virus modificato artificialmente a partire da un virus in grado di indurre leucemia nei topi.
Di fronte a simili esempi, diventa veramente difficile pensare di affidarsi ad una scienza ancora così acerba al solo scopo di migliorare le proprie prestazioni sportive, eppure tale eventualità è stata considerata come più che concreta, dal momento che la World Anti-Doping Agency (WADA) ha già nel 2003 inserito nell’elenco delle procedure da considerarsi dopanti l’intervento genetico finalizzato all’incremento della performance agonistica.

L’utilizzo di queste tecniche è stato finora considerato a livello ipotetico, e gli esempi di possibili manipolazioni che sono stati valutati sono parecchi, di seguito un breve elenco, da considerarsi come campione e non come lista completa delle modifiche genetiche possibili. (fonte)

I seguenti quattro geni sono particolarmente adatti all'aumento della resistenza:
• enzima di conversione dell'angiotensina (ACE): un vasocostrittore o vasodilatatore;
• eritropoietina (EPO), che stimola l'eritropoiesi;
• recettore d attivante la proliferazione dei perossisomi (PPARd), che codifica gli enzimi di ossidazione degli acidi grassi;
• fattori indotti dall'ipossia (HIF) per le modifiche dell'ossigeno disponibile.

I seguenti tre geni sono invece adatti all'aumento della massa muscolare:
• fattore di crescita Mechano (MGF), fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1), proteina legante il fattore di crescita-insulino simile (IGFBP), per il controllo della crescita muscolare;
• ormone della crescita (GH) per il controllo della massa muscolare;
• miostatina / fattore di crescita e differenziazione (gdf-8) o fattore di crescita trasformante-b (tgf-b), regolatori negativi della crescita muscolare.

Il caso

Come sopra accennato, non esiste finora un caso di doping genetico conclamato. Nessun atleta è mai stato trovato positivo al doping genetico, forse perché i controlli ancora non sono in grado di coprire adeguatamente questa branca del fenomeno doping, forse (ed è ciò che ci si augura), perché gli atleti ed i medici sportivi (se non per etica almeno per amor proprio o dei propri assistiti) non sono così sciocchi da mettere a repentaglio la loro salute e la loro stessa vita con pratiche così sperimentali e potenzialmente dannose o addirittura letali.
Vi sono state però avvisaglie che qualcosa purtroppo va muovendosi anche in questo ambito; l’episodio risale al Marzo 2006, quando Thomas Springstein, tedesco, allenatore e marito di Grit Breuer (due volte campionessa europea di atletica nei 400 metri e successivamente squalificata per doping) venne condannato per aver dato sostanze dopanti alle sue atlete. Nel pc di Springstein vennero ritrovate e-mail dove si parla di un prodotto per terapia genica, da assumersi in casi di anemia grave, ma fino a quel punto allo stato sperimentale ed utilizzato solo sui topi. Secondo il carteggio elettronico esaminato, tale prodotto sarebbe stato già disponibile sul mercato nero a fini di doping; il principio di funzionamento di questo farmaco si basa sul controllo della pressione sanguigna: all’abbassarsi della pressione il farmaco promuove l’attivazione di un gene che a sua volta induce la produzione di EPO; al ritorno della pressione a condizioni normali, il gene si “spegne”.

Esistono invece diversi studi su animali, che hanno confermato l’efficacia di alcuni trattamenti. Ad esempio, alcuni test condotti su topi da laboratorio hanno evidenziato un incremento della forza muscolare pari anche al 30% a seguito dell’introduzione nelle loro cellule del gene IGF-1 (vedi elenco sopra).
Forse però è bene sottolineare come tale incremento, se esteso anche al cuore, potrebbe portare a gravi scompensi cardiaci o addirittura alla morte; infatti, anche il cuore è un muscolo.


I controlli

Quello che, a prima vista, parrebbe il punto debole nella battaglia contro il doping genetico è proprio il discorso controlli.
Come riuscire a distinguere un EPO endogena prodotta normalmente da quella prodotta a causa di un input dovuto a manipolazioni genetiche?
Come individuare la presenza di modifiche nelle cellule dei muscoli, grazie alle quali l’atleta ha ottenuto maggior massa muscolare, maggior forza?
In realtà, la tecnologia ha fatto molti progressi anche in questi campi, e i primi metodi a supporto dell’antidoping stanno fiorendo, come già riportato da questo stesso sito pochi giorni addietro .
In dettaglio, il lavoro svolto dal team tedesco delle università di Tubinga e Magonza permette, secondo quanto affermato da uno dei componenti, di rintracciare modifiche al DNA anche ad oltre 50 giorni dal trattamento. Le prove sono state svolte su topi sottoposti a manipolazione genetica per aumentarne la forza e la resistenza, ed integrate con test condotti sui campioni di sangue di oltre 300 atleti dilettanti o professionisti.
Il lavoro sopra citato non è l’unico riguardante lo sviluppo di metodi per individuazione del doping genetico; nel Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano un’equipe ha condotto degli studi sui topolini per estrapolare un algoritmo, basato su alcuni segnalatori biochimici, in grado di identificare la somatotropina (l’ormone della crescita) prodotta con la manipolazione genetica. Anche il Centro Internazione d’Ingegneria Genetica e Biotecnologie di Trieste sta lavorando per la messa a punto di metodi ed esami in grado di smascherare il doping genetico.
Inoltre è stato osservato da sperimentazioni sulle scimmie che l’induzione ad un aumento di produzione di EPO tramite manipolazione genetica ha portato alla generazione di un maggior quantitativo di EPO, ma con una struttura molecolare significativamente diversa da quella naturalmente prodotta dal rene, e quindi facilmente identificabile.

Se volessimo tirare le somme, potremmo concludere che il doping genetico, oltre a rappresentare un vero e proprio salto nel buio per quelle che possono essere le conseguenze a breve, medio e lungo termine, non è poi neanche così sicuro dai controlli anti-doping. E se proprio l’etica non riuscisse ad avere la meglio sulla voglia di primeggiare, speriamo che almeno ci riesca il buonsenso.

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