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Il casco puo salvarti la vita

Fonte: ProBike
Vi spiego perché il casco per andare in bici serve (nonostante la tragedia al Giro)

La tragedia di Wouter Weylandt al Giro d'Italia non deve far credere che indossare il casco non serva a nulla: la velocità alla quale il ciclista belga ha battuto la testa (80 all'ora, si stima) va oltre qualsiasi possibilità di protezione, almeno per gli elmetti omologati per andare in bici.

Piuttosto, è meglio preoccuparsi se il modello di casco che si sta acquistando è davvero affidabile e in regola rispetto all'uso che se ne intende e se ne può fare: non sono mancati difetti di produzione e truffe ai consumatori.

Per essere davvero protetti durante una corsa ciclistica al massimo livello, sarebbe necessario un casco integrale da moto, che però non può essere utilizzato da una persona impegnata a pedalare, tanto più con ritmi da gara: pesa e fa sudare troppo. Ma il livello di protezione necessario per un atleta professionista è ben più alto rispetto a quello di cui può "accontentarsi" un cicloturista: lanciarsi in discesa a 80 all'ora come stavano facendo i girini al momento dell'incidente di Weylandt è semplicemente impensabile per una persona normale, che già intorno ai 40 tende a impressionarsi perché la bici si alleggerisce troppo, dandogli la netta sensazione di perdere il contatto con l'asfalto.

Per questo motivo, i caschetti normalmente reperibili in commercio sono adatti a qualsiasi impiego nel quale non ci sia di mezzo un motore: oltre che in bici, possono essere indossati su pattini, skate-board e simili. Garantiscono un'apprezzabile protezione fino a velocità d'impatto nell'ordine dei 25 chilometri orari, che poi di solito corrispondono a un'andatura di 30 o anche di più (nella caduta si rallenta almeno un po'). Questo è vero (salvo difetti o truffe) solo per gli esemplari omologati, riconoscibili dalla sigla "EN 1078" (la norma internazionale che regola i crash-test di questo tipo di elmetti) riportata sull'etichetta apposta nella parte interna del prodotto o sul cinturino.

Potendo scegliere tra vari modelli, secondo i test dell'associazione di consumatori Altroconsumo è preferibile uno la cui imbottitura interna sia saldamente incollata alla plastica interna e non semplicemente fissata col biadesivo. Un altro punto debole riscontrato da Altroconsumo è in qualche caso la tenuta del cinturino. Ma ciò è stato riscontrato solo in quattro esemplari su 20, quindi non deve far pensare che i caschi per bici siano poco sicuri (ribadito che il concetto di sicurezza di un prodotto va inteso sempre in rapporto all'utilizzo che se ne fa e a quello previsto in fase di progettazione).

Almeno fino all'anno scorso, secondo quando denunciato dall'Ancma (l'associazione nazionale dei produttori di cicli, moto e accessori), erano vendute come caschi da bici pure la classiche "scodelle" usate nei decenni passati per andare in moto. Tecnicamente si chiamano "Dgm" (come la sigla di omologazione nazionale riportata sull'etichetta) e la loro vendita per uso su veicoli a motore è vietata dal 2001.

L'uso su ciclomotori e motocicli, però, è stato messo al bando (dalla riforma del Codice della strada) solo dal 13 ottobre 2010. Teoricamente, chi riuscisse ancora ad acquistarli o se ne trovasse un vecchio esemplare in casa potrebbe utilizzarlo in bici: in Italia – contrariamente a qualche altro Stato del Nord e dell'Est Europa (si veda a pagina 10 del rapporto presentato oggi dall'Etsc ) – i ciclisti non sono obbligati a indossare alcun casco e quindi ogni copricapo va bene. Un casco Dgm potrebbe anche essere considerato più protettivo di un EN 1078, ma di fatto è inutilizzabile, sempre a causa di peso e scarsa traspirazione.

I problemi dei caschi per bici si ripropongono – ma a velocità ben più elevate – per quelli adatti all'uso in moto. Dato per scontato che in generale sono più protettivi i caschi integrali rispetto a quelli "senza mento" così diffusi tra gli scooteristi e in estate, è meglio scegliere un esemplare che sull'etichetta riporta il codice di omologazione 22/05 (cioà la quinta versione, introdotta nel 2000, del regolamento internazionale Ece-Onu n. 22, varato nel 1982), più severo proprio a livello della mentoniera rispetto al 22/04 che pure può essere regolarmente venduta. Resta comunque difficile indicare una velocità entro la quale questi caschi possono essere ritenuti assolutamente sicuri: dipende anche dal tipo d'urto. Si stanno sperimentando soluzioni innovative per migliorare ancora e all'avanguardia c'è l'Università di Firenze.

In campo motociclistico, nel 2009 cinque produttori sono stati sanzionati perché alcuni loro caschi, scelti a campione tra quelli reperibili in commercio, si sono rivelati non resistenti agli urti come i prototipi a suo tempo omologati. Clamore ha poi suscitato un test di Altroconsumo l'anno scorso, dal quale emergeva che altri caschi omologati non sarebbero in realtà stati in regola; ma una controanalisi commissionata dalla Motorizzazione con i parametri da utilizzare in sede di omologazione ha poi appurato il contrario.

In ogni caso, qualsiasi casco protegge al meglio solo a due condizioni:
- deve essere della giusta taglia (orientativamente, indossandolo si deve avvertire una leggera pressione sulla nuca per essere ragionevolmente sicuri che sia della propria misura);
-- deve essere allacciato ben stretto.
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