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Sovrallenamento

Fonte:cycling
Sovrallenamento o:

Il superallenamento
Il superallenamento può essere definito come “uno squilibrio tra allenamenti, competizioni e tempi di recupero”, ossia un eccesso di allenamenti e di gare associato a tempi di recupero insufficienti. Il termine “superallenamento” è tuttora discusso e alcuni lo ritengono improprio, in quanto indicherebbe che la causa del calo prestativo debba essere
ricercata esclusivamente nella eccessiva quantità dei carichi allenanti. In realtà, si è potuto osservare che le cause dello scarso rendimento sono molteplici e non correlate esclusivamente a errori nella pianificazione degli allenamenti. Tra esse, ricordiamo un numero di competizioni eccessive e/o troppo ravvicinate, un tenore di vita irregolare e dispendioso, esagerate tensioni derivanti dalla vita familiare, dallo studio o dal lavoro, alterazioni dello stato di salute e così via. Sarebbe comunque meglio dire che tali fattori sociali, scolastici, lavorativi, economici, nutrizionali e, non di meno, la monotonia degli allenamenti, rivestono il ruolo, sia pur importante, di concause o forse di eventi scatenanti, mentre invece il fattore determinante principale sembra rappresentato proprio dall’organizzazione degli allenamenti e delle competizioni. Prima di analizzare meglio la tematica del sovrallenamento, riteniamo utile richiamare alcuni concetti riguardanti l’allenamento, i carichi di lavoro utilizzati e la fatica.

L’allenamento
L’allenamento non è altro che un insieme di attività fisiche organizzate secondo criteri quantitativi e qualitativi, grazie al quale si cerca di ottenere un miglioram
ento della prestazione. Gli effetti dell’allenamento sono strettamente connessi con l’entità del carico allenante, ossia con l’entità degli stimoli con cui vengono sollecitate le strutture organiche e muscolari del praticante. Quando gli stimoli sono realmente corrispondenti alle capacità organiche, il carico viene definito “carico funzionale”, altrimenti, se l’entità dell’impegno richiesto va oltre le possibilità potenziali dell’organismo, si parla di “sovraccarico”. Inoltre, il carico “di lavoro” o “allenante” viene definito secondo caratteristiche di tipo quantitativo e qualitativo: le prime sono rappresentate dai volumi di lavoro, ossia dalla quantità di impegno richiesto (numero di esercizi, numero di kilometri percorsi, chilogrammi sollevati, ecc.), le seconde sono invece identificabili nell’intensità dell’esercizio (la velocità da raggiungere, la potenza espressa, i ritmi di lavoro, ecc.). Dal giusto equilibrio delle entità quantitative e qualitative dei carichi allenanti nascono le basi delle più valide teorie dell’allenamento sportivo. L’obiettivo finale, o anche il segnale di una corretta pianificazione dell’allenamento, è l’innalzamento della capacità lavorativa al di sopra dei livelli che l’atleta era in grado di esprimere prima di sottoporsi al training. Risulta evidente che i carichi di lavoro cui viene sottoposto l’organismo, che dovrebbero essere sempre rapportati alle condizioni nelle quali si trova il soggetto, comportano comunque un’alterazione dell’equilibrio biologico e, in particolare, uno stato di affaticamento.

Le cause della fatica

La fatica acuta, intesa come situazione di diminuita capacità funzionale dell’organismo, è un fenomeno complesso multifattoriale, per molti aspetti non ben conosciuto. Esso riconosce una serie di cause di tipo centrale (fatica centrale) e di tipo periferico (fatica periferica). Quelle centrali, del tutto indipendenti dallo stato funzionale dei diversi organi, fanno riferimento al Sistema nervoso centrale nella sua componente psichica (l’aspetto psicologico è spesso il principale determinante dell’instaurarsi di una sensazione di fatica e spesso anche del successivo tentativo di recupero) e in una componente più strettamente fisiologica, quale potrebbe essere una ridotta capacità e/o modalità di trasmissione del segnale nervoso dal cervello lungo il midollo spinale sino ai muscoli. Le cause periferiche della fatica chiamano in gioco la giunzione neuromuscolare, l’accoppiamento eccitazione-contrazione, la diminuzione delle riserve energetiche e le modificazioni biochimiche all’interno della stessa fibrocellula muscolare. La fatica che si prova al termine degli allenamenti, ove rimanga entro i limiti del lecito, rappresenta un momento indispensabile del processo naturale dell’allenamento sportivo, il cui fine ultimo è l’adattamento dell’organismo e il miglioramento delle capacità prestative. Alla base dei fenomeni adattativi vi è il principio della supercompensazione, una forma di adattamento che consiste in una fase di crisi (fatica) seguita dal processo di recupero, durante il quale vengono non solo ricostituite, ma addirittura potenziate le scorte energetiche, fisiche e psichiche, utilizzate per l’esecuzione dell’esercizio fisico. Il rischio è quello di non trovare il giusto equilibrio: la fase di crisi può essere troppo pronunciata e l’organismo, superate tutte le capacità di recupero, non riesce a ripristinare e potenziare le scorte energetiche. Allora ci si viene a trovare nell’anticamera di una sindrome molto complessa, che è appunto quella del sovrallenamento. Aiutare l’atleta a recuperare la fatica di un allenamento pesante o di una competizione esaustiva è uno dei compiti più importanti che l’allenatore e il medico dello sport si trovano a dover affrontare. Il fine è quello di evitare di vanificare i tanti sforzi che gli atleti compiono solo perché non viene data la giusta importanza al rispetto dei necessari tempi di recupero.

Sovrallenamento
Dopo alcuni allenamenti pesanti per intensità e durata, è quindi fisiologico che compaia uno stato di fatica, di stress; se vengono rispettati i tempi di recupero, la fatica scompare e la supercompensazione favorisce il ripristino e, anzi, il miglioramento delle capacità prestative. In tal senso sono sufficienti uno o due giorni di recupero o, al massimo, un periodo di sette giorni, in cui vengono effettuati allenamenti di scarico blandi perché la sintomatologia scompaia. Questo, in sintesi, sembra essere il normale andamento dei processi adattativi dell’organismo sottoposto a un programma di allenamento. Quando l’atleta viene esposto acutamente ad allenamenti estenuant
i, a competizioni ripetute e, non di meno, ad altri tipi di stress (stile di vita, problemi familiari, ecc.), tanto da non essere più in grado di esprimersi a livelli di rendimento ottimali, nemmeno dopo un appropriato periodo di scarico e di recupero, allora è giusto parlare di sovrallenamento o di “overtraining”. Va sottolineato che, per poter diagnosticare con sicurezza uno stato di sovrallenamento, è indispensabile documentare un calo delle capacità prestative. Nell’ambito del sovrallenamento, occorre poi distinguere due diverse forme: il sovrallenamento a breve termine (short-term overtraining) o “overreaching” e il sovrallenamento a lungo termine (long-term overtraining) o “sindrome da sovrallenamento” o “overtraining sindrome”.

L’“overreaching”
È caratterizzato
da una transitoria riduzione delle capacità prestative, risolvibile in un periodo di tempo relativamente breve (pochi giorni-due settimane). L’atleta avverte uno stato di fatica superiore a quello che dovrebbe derivare da un normale carico allenante, ma la fatica può essere smaltita con un adeguato recupero e ciò non compromette i processi di supercompensazione. A volte tale situazione viene espressamente ricercata dagli stessi allenatori che, anzi, la ritengono una componente normale dell’allenamento, specie se indirizzato alla ricerca di adattamenti massimi in funzione di una competizione assai difficile. Alla base dell’“overreaching” sembra esservi una fatica “periferica” e, quindi, piu tipicamente muscolare. Qualora una prestazione negativa, dovuta a uno stato di “overreaching”, non venisse riconosciuta immediatamente, l’allenatore potrebbe essere indotto ad aumentare ancora i carichi di lavoro, con l’intento di compensare il gap prestativo: in tal caso il risultato sarà quello di peggiorare la situazione, facendo scivolare l’atleta lentamente verso il sovrallenamento conclamato, ossia verso la sindrome da “overtraining”. Quella dell’“overreaching” è pertanto una fase molto delicata, che deve essere obbligatoriamente riconosciuta onde evitare il rischio di peggiorare il quadro.




L’“overtraining”
È una sindrome caratterizzata da uno stato di esaurimento complessivo psicofisico di tipo cronico (prolungata nel tempo), che si associa a un calo della “performance” e a sintomi di tipo muscolare (dolenzia, f
aticabilità eccessiva), psichico (sbalzi del tono dell’umore), nonché a una diminuzione della motivazione. La prognosi è più severa: si parla di settimane e, spesso, di mesi. Gli errori che la causano devono essere ricercati nella pianificazione del programma degli allenamenti e delle competizioni. Tale sindrome, una volta instauratasi, a differenza dell’“overreaching”, compromette i processi di supercompensazione. L’atleta appare svuotato, demotivato e nell’assoluta impossibilità di reagire positivamente agli stimoli indotti dall’allenamento. La sindrome da sovrallenamento implica uno stato di fatica “centrale”, più mal delineata rispetto alla periferica e caratterizzata da alterazioni delle capacità di concentrazione e di motivazione. Nell’ambito dell’“overtraining” va poi differenziata una forma classica, definita di tipo “simpatico”, da una forma più moderna, di tipo “parasimpatico” (vedi il riquadro “Fate attenzione a...”). La prima è caratterizzata da un’aumentata attività, in condizioni di riposo, del sistema nervoso simpatico, che implica, quindi, accelerazione del battito cardiaco, eccitazione e irrequietezza. È più frequente negli sport a prevalente componente esplosiva, quindi di tipo anaerobico, e colpisce più frequentemente gli atleti giovani. Nel determinarla, agli stress indotti dall’allenamento si uniscono fattori sociali, familiari, scolastici, lavorativi o ambientali (clima). Riveste notevole importanza, nel determinismo della forma simpatica, anche la monotonia legata agli allenamenti. La forma parasimpatica è caratterizzata da una soppressione dell’attività del simpatico e non da una vera e propria dominanza del parasimpatico. Ne deriva un tipico atteggiamento apatico e depresso. Si riscontra prevalentemente negli sport di resistenza aerobici e nei soggetti più anziani ed è più difficile da individuare, perché i sintomi sono meno eclatanti e allarmanti.

Variazione
dei parametri ematici La sindrome da “overtraining” pu
ò determinare l’alterazione di alcuni importanti parametri. Tali variazioni, insieme ai segni e ai sintomi della sindrome citati nel riquadro indicato, possono rendere più facile la diagnosi. A questo proposito si possono leggere i riquadri delle pagine precedenti.

Conclusioni
Volendo riassumere quanto abbiamo detto, la sindrome da “overtraining” può essere considerata come quella condizione nella quale la “somma degli effetti biologici negativi provocati da allenamenti troppo intensi e/o gare ravvicinate si traduce in una incompleta rigenerazione funzionale di tutti i sistemi cellulari”. La comparsa della sindrome può essere precipitata, accelerata o aggravata dalla concomitante presenza di fattori esterni, quali errori nutrizionali, infezioni, traumi, stress psichici, ecc. L’elemento centrale della sindrome è naturalmente la riduzione della “performance”, che dovrebbe essere quantificata attraverso il ricorso a test funzionali più o meno complessi e precisi (determinazione del massimo consu
mo di ossigeno, della massima produzione di lattato, ecc.), ma che spesso appare chiara già dalla semplice analisi dei risultati ottenuti nelle gare o dal comportamento dell’atleta. Per facilitare la diagnosi sono stati proposti e utilizzati numerosi indicatori biochimico-umorali (vedi riquadro qui a sinistra). Tuttavia, la sensazione generale che si ricava leggendo i numerosissimi lavori in letteratura e la nostra opinione personale è che nessuno di questi indicatori da solo è in grado di consentire una diagnosi di certezza, e per tale motivo, fino a dimostrazione contraria, essa deve scaturire da un’analisi complessiva dello stato psicofisico dell’atleta e da una corretta interpretazione di tutti i parametri funzionali ed ematochimici disponibili. I maggiori problemi, nella sindrome da sovrallenamento, si hanno sul piano preventivo e terapeutico. Attualmente, l’unica strategia di prevenzione sicuramente efficace appare la corretta gestione dei carichi allenanti e degli eventi agonistici unita, laddove possibile, all’eliminazione di eventuali fattori esterni o di patologie intercorrenti in grado di agire come concause, tenendo conto che, una volta instauratasi una condizione di sovrallenamento, l’unica terapia possibile consiste in un periodo di riposo prolungato, del quale è facile prevedere l’inizio e molto più difficile stabilirne la fine.

Ferro e ferritina
La ferritina altro non è che un indice della consistenza dei depositi del ferro nell’organismo. Quando il ferro viene consumato in grande misura per un
aumentato fabbisogno in relazione ai carichi di allenamento o per aumento delle perdite con la sudorazione, è necessario che le riserve contenute nei depositi vengano ricostituite rapidamente. La carenza di ferro nel sangue e nei depositi può essere determinata, oltre che da un aumento dei consumi, anche da un insufficiente apporto con la dieta o da una scarsa assimilazione attraverso il tubo digerente. È consolidata la convinzione che livelli soddisfacenti del ferro nel sangue (sideremia) e nei depositi (ferritinemia) consentano migliori prestazioni atletiche, anche perché mantengono elevata la concentrazione dell’emoglobina. Non è provato il contrario, ma è pur vero che atleti che manifestano un calo delle prestazioni presentano, a volte, un metabolismo del ferro deficitario. Anche un aumento dei valori della ferritina, e non solo un calo, potrebbe rappresentare un marker di uno stato di affaticamento, in quanto una significativa elevazione del valore di questo parametro si riscontra nel corso di malattie infiammatorie o di malattie infettive.

Testosterone e cortisolo
Un altro apparato che viene a essere interessato in caso di “overtraining” è sicuramente quello endocrino. L’aspetto più noto e studiato è quello riguardante l’equilibrio tra i livelli di cortisolo e di testosterone. Il cortisolo, considerato come espressione tipica della risposta allo stress, è un ormone con funzioni prevalentemente cataboliche, mentre il testosterone ha funzioni essenzialmente anaboliche. Il rapporto testosterone (totale o libero)/cortisolo viene considerato un indice indiretto del bilancio “proteico” dell’organismo e in particolare dei muscoli scheletrici. Secondo la maggioranza degli autori, uno spostamento in senso catabolico, indicato da un aumento del cortisolo e/o da una riduzione del testosterone, dovrebbe essere considerato un indice affidabile di sovrallenamento o quantom
eno di un incompleto recupero dalla fatica.

Emoglobina ed ematocrito
L’emodiluizione, causata dall’espansione del volume del plasma, conduce inevitabilmente a una diminuzione dei valori di concentrazione dell’ematocrito e dell’emoglobina. In realtà, non si registra una vera e propria diminuzione della parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine), ma solo una sua diluizione. L’espansione del volume plasmatico, che determina l’emodiluizione, rappresenta un adattamento positivo tipico delle attività sportive di tipo aerobico come il ciclismo, e il calo dei valori di concentrazione dell’ematocrito e dell’emoglobina non comporta un calo delle “performance”, almeno fino a quando non si associno anche deficienze di ferro, distruzione dei globuli rossi durante esercizio fisico (emolisi) e disturbi della formazione dei globuli rossi da parte del midollo osseo. In tal caso si instaura un’anemia che dallo stato prelatente può passare al latente e, infine, all’anemia conclamata.

Glutammina

Anche il sistema immunitario entra in gioco nel meccanismo del sovrallenamento. È infatti ormai ampiamente dimostrato come nell’atleta sovrallenato si possa mettere in evidenza una significativa diminuzione delle difese immunitarie, responsabile di una maggiore vulnerabilità alle infezioni, particolarmente delle prime vie respiratorie. È stato ipotizzato che la depressione del sistema immunitario derivi da una diminuzione “da consumo” dei livelli ematici di glutammina, amminoacido essenziale per le sintesi proteiche che avvengono all’interno del sistema immunitario. È interessante notare che il calo della glutammina si verifica solo per sforzi esaustivi, quale una maratona, e non per esercizi anche intensi ma di durata minore; inoltre, esso non si verifica negli atleti “supplementati” con amminoacidi ramificati.
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